Parma, 27 novembre 2024 – «Mentire è un atto di auto-reclusione, mentre la verità possiede una potente virtù emancipatrice. Quando abbiamo deciso di opporci al male, la verità è stata la nostra unica arma». Parla con voce emozionata e decisa a un tempo Ladan Boroumand, da oggi Professoressa ad honorem in Storia dell’Università di Parma. In un’Aula Magna che l’ascolta in un silenzio commosso parla del suo Paese, l’Iran, e della propria vita: due strade indissolubilmente intrecciate anche se da molti anni lei vive lontano, esule. La sua lectio (How History Shaped a Historian, cioè Come la storia ha plasmato una storica) è un atto d’amore e d’accusa insieme. L’amore per l’Iran e il suo diritto alla libertà e l’accusa verso il regime teocratico che soffoca quel diritto.
«Conferirmi un tale onore è un atto coraggioso, poiché oggi consacrate un itinerario intellettuale non convenzionale, caratterizzato da lunghi periodi di attivismo per i diritti umani. Non un attivismo per vocazione, ma dettato da un dovere morale e un obbligo civile, a cui si è poi aggiunto un tragico dovere filiale», dice la studiosa all’inizio del suo intervento, che ripercorre la sua vita. Una vita «dedicata alla difesa dei diritti. In Iran, il suo paese, che lei guarda da lontano e per il quale non ha mai smesso di denunciare i soprusi del regime, ma anche al di fuori dell’Iran. Sì, perché il suo esempio, il suo messaggio e il suo monito hanno valore universale: è anche per questo che ritengo così importante la cerimonia di oggi», osserva in apertura il Rettore Paolo Martelli, che si sofferma in particolare su quello che definisce «il capolavoro» di Ladan Boroumand, Omid Memorial: «Un gigantesco memoriale digitale che ricostruisce le vicende biografiche e giudiziarie delle vittime della violenza di stato del regime iraniano. Un luogo virtuale abitato ad oggi da circa 26mila storie: 26mila persone che lì possono continuare a vivere e che con la loro stessa presenza lì sono, ciascuna e ciascuno, un monito. Agenti di memoria. Omid Memorial – aggiunge il Rettore - serve a denunciare le violazioni dei diritti umani in Iran, a tener vivo il ricordo delle vittime e a rendere loro omaggio, ma è anche molto di più. È anche un modo per “non sedersi”, per reagire, facendo di quella “città virtuale” popolata da persone uccise una leva di rinascita collettiva, cioè di vita, con un ribaltamento straordinario: le vittime diventano soggetti attivi di resistenza e di memoria universale, e scrivono la storia».
«È facile immaginare come la più grande speranza delle creatrici di Omid, Ladan e Roya Boroumand, e di tutti coloro che hanno contribuito nel corso dei decenni a questa straordinaria impresa, sia quella di chiudere il Memoriale e di consegnarlo agli storici del futuro. Mettendo a loro disposizione un’inestimabile messe di dati e di fonti, ineludibile condizione di ogni successivo sforzo di approfondimento e interpretazione storiografica. È questo approdo ideale, in definitiva, che compie e completa l’eccezionale percorso intellettuale di Ladan Boroumand, collegandolo in tutte le sue tappe: dalla studentessa poco più che ventenne che si interrogava sulla natura del nuovo ordine khomeinista, alla giovane studiosa che negli anni parigini indagava le origini storiche della nozione di diritti umani; dalla ricercatrice tenace del sistema di potere iraniano, all’altrettanto tenace custode della memoria delle sue vittime», spiegano Mario Tesini, docente di Storia delle dottrine politiche e Direttore del Laboratorio per la storia del pensiero politico “De Cive”, e Luca Iori, docente di Storia greca e Segretario scientifico del “De Cive”, nella loro laudatio, che mette a fuoco le tappe principali della vita e della ricerca di Ladan Boroumand da quel 1979 che con il rivoluzionario cambiamento di regime in Iran segna uno spartiacque assoluto.
Da lì il lungo esilio all’estero: prima a Parigi, dove Boroumand studia Storia all’École des hautes études en sciences sociales con Claude Lefort, Mona Ozouf e François Furet dedicandosi a una rivoluzione “archetipica” come quella francese (e in particolare all’approfondimento del rapporto, potenzialmente conflittuale, fra la tutela dei diritti umani e il principio di sovranità della nazione), e poi negli Stati Uniti, dopo l’assassinio del padre avvenuto nel 1991 a Parigi in un contesto di ripetuti omicidi politici perpetrati dalla Repubblica Islamica.
«Il telefono squillò. Risposi e udii la voce di mio fratello annunciare ciò che temevo dal luglio 1980: nostro padre era stato assassinato dai terroristi del regime islamico. Appena tre mesi dopo, anche il suo amico e leader, Shapur Bakhtiar, fu assassinato dalle Guardie Rivoluzionarie Islamiche. Non ero estranea alla sinistra macchina assassina del regime islamico; vivevo nella paura da molti anni. Ma l’impatto psicologico dell’assassinio di mio padre fu incommensurabile rispetto a tutto ciò che avevo “conosciuto” o immaginato», racconta con la voce rotta la studiosa nella sua lectio. E ancora: «Ciò che aiuta ad andare avanti sono l’amicizia e l’amore — gli unici antidoti contro l’odio e l’omicidio — e il senso del dovere verso i sopravvissuti. È un lungo processo quello di imparare di nuovo a vivere, continuare la lotta. Lentamente, molto lentamente, cerchi di capire come rimediare all’irrimediabile. Non puoi riportare in vita le vittime, ma puoi assicurarti che i loro ideali vivano oltre loro, poiché sono stati uccisi per quegli ideali».
Da lì il grande lavoro di studio, ricostruzione delle storie e conservazione della memoria culminato nell’Omid Memorial, che oggi ha un valore ancora più grande in un contesto mutato, perché «L’Iran di oggi non è l’Iran del 1979»: «I giovani iraniani stanno facendo la storia, e credo che questa storia debba essere scritta», dice Ladan Boroumand, che chiude con un elogio della verità e della sua forza rivoluzionaria allargando l’orizzonte ben oltre l’Iran: «Quando abbiamo deciso di opporci al male, la verità è stata la nostra unica arma. Sappiamo per esperienza che essa ha una forza insostituibile contro le menzogne e le realtà alternative che stanno scuotendo le fondamenta delle democrazie liberali in tutto il mondo».